Imi-Sir: “La più grande corruzione nella storia italiana”

Nella categoria Italia da su 27 maggio 2015 0 Commenti

La corruzione in Italia ha sempre colpito le più alte sfere della politica e dell’amministrazione, ma nel caso della IMI-SIR abbiamo toccato uno dei capitoli più bui della nostra storia. La notizia del giorno riguarda il pagamento che la Presidenza del Consiglio dei ministri dovrà versare per risarcire Intesa Sanpaolo (ex IMI): 173 milioni di euro verranno trasferiti nelle casse dell’istituto bancario.

Ripercorriamo prima la storia, partendo dal 1980. La guerra iniziò proprio quell’anno, quando la società del gruppo chimico SIR (Società Italiana Resine) di Nino Rovelli fallisce, sotto un debito di tre mila miliardi di lire. La società va in bancarotta e Rovelli non vuole accettarlo. Per questo, nel 1982, accusa l’Istituto Mobiliare Italiano di aver contribuito a far decadere l’azienda, visto che l’istituto di credito non aveva concesso un finanziamento alla SIR.

 

Questo credito era stato promesso dall’IMI e per questo Rovelli decide di portare tutta la storia in tribunale. Per anni e anni girano magistrati, giudici, sale e carte bollate senza che si addivenga a una soluzione. I soldi in ballo sono tanti e la corruzione fa presto ad adombrare tutta la storia.

 

Nel 1992, la Corte di cassazione dà ragione alla SIR, condannando l’IMI a risarcire mille miliardi di lire per non aver concesso un credito che era stato promesso nel contratto di collaborazione. Secondo i pm, a caso finito, Rovelli avrebbe pagato enormi bustarelle agli avvocati romani Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora per comprare i giudici e vincere la causa che poi, infatti, viene vinta.

 

Conferme di questi pagamenti irregolari si ritrovano negli spostamenti bancari riguardanti enormi somme di denaro. Sui conti degli imputati appena citati, vengono versati 21 miliardi a Cesare Previti, 33 miliardi ad Attilio Pacifico e 13 miliardi a Giovanni Acampora.


Ma perché adesso, nel 2015, lo Stato deve risarcire di tasca propria? Ecco il motivo: Metta, uno degli imputati, all’epoca dei fatti era un magistrato dello Stato e la legge 117 del 1988 impone allo Stato di risarcire, in caso di insolvenza del condannato, le spese giudiziarie. Vittorio Metta e Giovanni Acampora non possono saldare il proprio debito pecuniario perché risultano insolvibili, e quindi ci penserà lo Stato, ossia noi tutti.

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Ho 23 anni e sono un giornalista praticante dal 2013. Studio Scienze dell'Informazione, della Comunicazione e dell'Editoria all'Università di Tor Vergata. Laureato in Lettere presso lo stesso Ateneo. Mi occupo principalmente di giornalismo d'inchiesta e di reportage in giro per l'Italia.

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