La prevenzione è più efficiente, più economica ed incisiva della repressione

Nella categoria Italia da su 18 maggio 2015 0 Commenti

            Nel dicembre 2014, ovvero, pochi mesi or sono, l’Italia è risultata essere ancora al 69° posto nella graduatoria mondiale circa il triste fenomeno della presenza della corruzione negli stati, conservando stessa posizione e punteggio dell’anno precedente.

Sullo stesso gradino dell’Italia, con un voto di 43 su 100, troviamo la Romania e altri due paesi europei in risalita rispetto allo scorso anno: Grecia e Bulgaria. A livello globale si distinguono in negativo Francia (69), Cina (36) e Turchia (45) che perdono diverse posizioni rispetto all’anno scorso, mentre rimangono in cima alla classifica dei paesi più virtuosi Danimarca, Nuova Zelanda e Finlandia.

            Secondo  Transparency International Italia, in occasione della ventesima edizione della manifestazione, l’indice di Percezione della Corruzione (CPI)  “affligge tuttora in maniera endemica il nostro sistema economico, sottraendo allo stato risorse preziose, peggiorando la qualità dei servizi e contribuendo ad aumentare la povertà. I cittadini sono i primi a subirne le conseguenze, per questo non devono più rimanere in silenzio, ma prendere posizione con determinazione”.

            Ciò ovviamente non significa, almeno con un automatismo di valutazione, che la normativa italiana (e non solo la legge 190/2012 e il Dlgs 33/2013) sia di per sé stessa inefficace, ma che probabilmente le norme si innestano su di una organizzazione amministrativa “non perfetta” che certamente necessita di riforme e semplificazione.

            Si è spesso argomentato circa la sussistenza in Italia (e non solo più al Sud) del “substrato culturale fertile” per il generarsi dei fenomeni corruttivi; ciò ritengo sia parzialmente vero come è reale il pericolo che la disorganizzazione amministrativa e soprattutto la incertezza circa le regole da applicare accrescano enormemente il triste fenomeno.

            Ancora oggi assistiamo a timidi approcci da parte del legislatore di inasprimento delle pene per i corrotti, scelte criticate dalla stessa associazione nazionale dei magistrati e dal CSM, che ritengono non sufficienti le nuove norme che affermano essere frutto di scelte di compromesso tra le forze politiche che sostengono la maggioranza di governo.

            Ma dette norme si incentrano ancora sul momento della “repressione”, tralasciando quella della prevenzione che, a mio giudizio, riveste una rilevante importanza per la oggettiva e reale lotta al fenomeno corruttivo.

            Mi spiego: la c.d. legge Madia (la legge delega di riforma della pubblica amministrazione, allo stato all’esame della Camera) potrebbe appunto incidere sul ricordato “substrato culturale fertile”, eliminando in radice la attuale possibilità che gli amministratori (locali e non) possano “scegliersi” il dirigente e chi lo controlla (l’OIV).

            Infatti la riforma Madia prevede, tra l’altro,  tre distinti albi nazionali rispettivamente per la dirigenza statale, regionale e degli enti locali, con tre distinte organizzazioni di interpelli su base nazionale (per le nomine dei dirigenti), di performance con unicità di criteri nazionali e soprattutto con un organismo di valutazione indipendente nazionale, nonché con la fissazione dei parametri retributivi e di risultato predeterminati nel minimo e nel massimo.

Ciò permetterà, se approvata, di avere in Italia la più ampia mobilità della dirigenza! E soprattutto cancellerà il ricorrente alibi della dirigenza circa la sua attuale e potenziale stretta collegabilità con il livello politico.

Da ciò potrà realmente conseguire un “distacco” netto tra l’esercizio della competenza di gestione e quella di indirizzo politico, finalità perseguita dal lontano 1993 con le norme Bassanini, ma mai  sinora effettivamente realizzata.

 

Giovanni Corporente

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