La corruzione ai tempi dei Romani… vizi e degenerazione dello stato.
Nella generale crisi della res pubblica, l’homo novus Sallustio (86-35 a.C.) mette a nudo le condizioni politiche e sociali di Roma attraverso la sua opera “De Catilinae Coniuratione”(40-43 a.C.). Bisogna ricordare che egli iniziò a scrivere dopo essersi ritirato dalla vita politica al fine di essere il più imparziale possibile.
Partendo dalla storica congiura di Catilina (63 a.C.), nella sua prima monografia storica descrive l’evoluzione di quella patologia nota ai nostri giorni come corruzione. Individua la decadenza del mos maiorum con la fine della terza guerra punica (146 a.C.) e la caduta della potente Cartagine, quando potere e ricchezza andarono a sostituire onestà, giustizia, operosità e altri valori.
L’autore rappresenta l’avarizia come un veleno che rammollisce il corpo e l’animo virile, infinita e insaziabile nonostante l’abbondanza o la miseria. Il crescente benessere e la ricerca del lusso indussero a ritenere la povertà una vergogna e l’integrità esibizione malevole.
” […] La sete di denaro e di potere aumentò e con essa, si può dire, divamparono tutti i mali. Fu la cupidigia a spazzar via la buona fede, la rettitudine e tutte le norme del vivere onesto, indusse gli uomini all’arroganza, alla crudeltà, alla negligenza degli dèi, alla convinzione che non c’è cosa che non sia in vendita.
L’ambizione indusse molti a fingere, a tener chiuso in cuore un pensiero e manifestarne un altro, a considerare amici e nemici non per i loro meriti ma per il vantaggio che potevano ricavarne, a parere onesti più che ad esserlo. […] “
(De Catilinae coniuratione,10)
Sallustio medita a riguardo dell’antica grandezza della repubblica, per egli garantita dall’integrità e dalla virtù dei cittadini.. non da queste dipende forse anche oggi giorno la “cosa pubblica”?