Wisthlblowing: é un invito alla delazione? Di Luciano Hinna

Nella categoria Whistleblowing da su 19 febbraio 2015 1 Commento

whistleblower_Il whistleblowing è una  cultura e quando si importa in un  paese concetti ed istituzioni di altri contesti etici e normativi  si pone sempre un problema di traduzione, di senso e di significato. Letteralmente whistleblower significa colui che soffia nel fischietto e le immagini proposte sono diverse: le sentinelle civiche, l’arbitro che fischia/segnala  un fallo etc; in realtà la figura più vicina al significato è il poliziotto inglese che non spara, ma fischia e con quel fischio richiama l’attenzione, chiede l’appoggio e l’intervento di tutti i cittadini per gestire una emergenza, una minaccia, un furto o, appunto, un atto di corruzione. La logica che c’è dietro è che tutti dovremmo diventare poliziotti nel segnalare una minaccia.

Il significato del whistleblower lo ha spiegato  bene con un esempio Sabino Cassese nel corso di un dibattito scaricabile da internet. Se vogliamo gestire il rischio di incendio abbiamo due modi: o mettiamo un vigile del fuoco accanto ad ogni sito a rischio, cosa impossibile senza pensare che se poi scoppia l’incendio da solo un vigile non può far nulla, oppure teniamo i vigili tutti insieme pronti in caserma  e chiediamo ai cittadini di segnalare appena scoppia un incendio consentendo alla squadra di vigili di intervenire. L’idea è semplice: è trasformare tutti i cittadini in vigili del fuoco non per spegnere, ma per segnalare prontamente l’inizio di incendio. Se per il fuoco c’è la percezione che sia un pericolo comune, per la corruzione la stessa la percezione di pericolo ancora non c’è, anche se la corruzione è un cancro che consuma i valori della nostra società e ruba il futuro ai nostri giovani.

Qui non c’è da fischiare in nessun fischietto, si tratta invece di denunciare fatti di corruzione garantendo l’anonimato. E’ un invito dello Stato alla delazione? Non è proprio così.

Per dirla in maniera ruvida: fare la spia, anche quando si tratta di reati, non è nella nostra cultura che ha perso il senso di solidarietà sociale e del senso civico; noi siamo attenti agli interessi individuali e poco a quelli collettivi, o meglio siamo pronti ad attivarci su un problema collettivo solo se esso coincide con un nostro interesse personale, altrimenti noi deleghiamo alle forze dell’ordine ed alla magistratura le gestione di certi rischi come se la cosa non ci riguardasse.

Il nuovo istituto introdotto con la legge anticorruzione prevede la possibilità si segnalazioni anonime di fenomeni di corruzione, sia da parte di cittadini, che di dipendenti di aziende pubbliche e private attraverso modalità specifiche. Da noi si pensa ancora che “chi fa la spia non è figlio di Maria” con tutto ciò che segue, ma in realtà in nessuna catechesi è espresso questo concetto, eppure da quando andiamo alle elementari ci hanno insegnato che non si fa la spia. E questo spiega perché siamo sempre e comunque scimmiette che non vediamo, non parliamo e non ascoltiamo. Quindi, non siamo sentinelle civiche e non basta una nuova norma e l’istituzione del whistleblowing per trasformarci in cittadini degni di appartenere ad un comunità sociale. In estrema sintesi abbiamo diritto di cittadinanza, non solo se rispettiamo le leggi come facciamo tutti al 99,9% dei casi, ma solo se ci attiviamo per pretendere che anche altri lo facciano.

Nonostante il tempo trascorso da quando la nuova normativa anticorruzione ha previsto l’istituzione di sistemi di whistleblowing ancora sono pochissime le amministrazioni che li hanno attivati. Le cause non sono solo la mancanza di cultura, come detto, ma anche la carenza di infrastrutture tecniche per gestire le segnalazioni garantendo l’anonimato. Probabilmente l’ANAC a breve si pronuncerà sul tema anche per evitare che qualcuno si improvvisi, anche se a fin di bene, gestore di un sistema che non si può dare in outsourcing a strutture esterne e non pubbliche.

In conclusione, whistleblowing non significa fare la spia, ma difendere un valore condiviso della società civile che è l’onesta, mentre tacere e far finta di niente significa difendere un altro valore che è quello dell’omertà che scivola nella complicità e che è tipico delle strutture mafiose. Forse è ora di decidere da che parte vogliamo stare.

Luciano Hinna

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Commenti (1)

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  1. avatar Emanuela scrive:

    Condivido perfettamente quanto ho letto, e a me hanno rovinato l’esistenza interiore, per non aver subito denunciato ma aver creduto che si potesse confidare direttamente al dirigente più in alto, dando dei suggerimenti per poter cambiare senza penalizzare niente e nessuno, ma migliorare l’attività lavorativa. Ora sono ben tre anni che mi hanno tolto il mio lavoro (dopo ben 33 anni di esperienza nel settore) e sono rimasta sola e i miei appuntamenti sono esclusivamente quelli medici. Magari potesse mettersi in contatto con me per poter scambiare esperienze, magari utili ad uscirne.

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