Il bene comune e l’etica del business

Nella categoria Analisi e Ricerche da su 27 aprile 2017 0 Commenti

A cura di Mauro PULCINI (Colonnello dell’Esercito, frequentatore del “Master Anticorruzione” presso l’Università degli Studi di Tor Vergata in Roma – A.A. 2016-2017)

 

Uno dei caratteri maggiormente identificativi del Master Anticorruzione appena concluso è rappresentato, indubbiamente, dalla assoluta “trasversalità” dei contenuti trattati, che lungi dal ricondurre il corso di studi agli aspetti giuridico-normativi del fenomeno della corruzione e alle relative misure di contrasto, spaziano nelle più disparate discipline di indagine, dall’antropologia alla filosofia, dalle tecniche di risk management ai nuovi modelli di economia aziendale, favorendo, in materia, un quadro di conoscenze e consapevolezze non preventivato, per certi versi sorprendente ove rapportato alle aspettative iniziali.

Dette nuove consapevolezze possono essere ben sintetizzate in un concetto che ha costituito il filo conduttore di ciascuno dei moduli in cui si è articolato il Master e che meglio di ogni altro identifica il messaggio di fondo sotteso all’intero corso di studi: l’anticorruzione è prioritariamente una sfida etica, come tale pienamente perseguibile solo attraverso una profonda rivoluzione culturale, ove i valori primari della onestà e della integrità delle azioni e dei comportamenti risultino inscindibilmente legati a quelli dell’efficienza e della legalità di risultati, in un sistema integrato in cui il soddisfacimento degli uni risulti pregiudiziale al perseguimento degli altri.

E’ in tale contesto, fortemente orientato alla cultura dell’etica, che viene ad assumere un ruolo centrale il concetto di “bene comune”, non inteso semplicemente quale principio etico cui dover ispirare comportamenti ed azioni, ma quale condizione necessaria a soddisfare, al contempo, interessi specifici (come, ad esempio, quelli di una azienda che opera sul mercato) e interessi generali (che coinvolgono la collettività).

Proprio il carattere dirompente di questa nuova visuale prospettica – in grado di coniugare e integrare valori morali e finalismo aziendale – ha contribuito a orientare la scelta dell’argomento cui dedicare questo breve articolo, quale ideale conclusione del Corso di studi intrapreso e indiretta testimonianza della citata impronta trasversale dello stesso. Ciò, unitamente al convincimento che la specifica trattazione rivesta carattere di assoluta e stringente attualità, in una condizione di perdurante crisi economica globale che ha sancito il definitivo fallimento delle teorie manageriali incentrate sulla massimizzazione del profitto, determinando la necessità di promuovere e sviluppare modelli alternativi.

In tal senso, peraltro, il presente articolo non ha alcuna ambizione scientifica (meritando l’argomento, nel caso, ben altro tipo di approfondimenti), volendo semplicemente costituire spunto di riflessione sul tema.

Quello del ben comune è un concetto di matrice antropologica che affonda le radici nella storia, risalendo alle scienze politiche greche e romane per poi giungere, attraverso il pensiero politico medioevale, fino all’Europa moderna. Si tratta, quindi di una tematica che da sempre accompagna l’evoluzione dell’uomo e della società, trovando utile declinazione nelle più disparate discipline, dalla filosofia morale, così come ad esempio contenuta nei pensieri di Aristotele e Tommaso D’Aquino, all’economia aziendale, cui possono riferirsi i più attuali modelli gestionali ed organizzativi proposti in campo sociale ed economico.

Ciò premesso e a ulteriore conferma della portata “universale” di tale concetto, preme sottolineare come lo stesso trovi oggi un primo fondamento teorico nella dottrina sociale della Chiesa, così come rinvenibile nel relativo Compendio, pubblicato nel 2004 dal Consiglio della Giustizia e della Pace. In tale contesto, il bene comune viene identificato nell’ “insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alla società sia ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente”. Si legge, ancora, nel documento che “l’’impresa deve caratterizzarsi per la capacità di servire il bene comune della società mediante la produzione di beni e servizi utili. Cercando di produrre beni e servizi in una logica di efficienza e di soddisfacimento degli interessi dei diversi soggetti implicati, essa crea ricchezza per tutta la società: non solo per i proprietari, ma anche per gli altri soggetti interessati alla sua attività. Oltre a tale funzione tipicamente economica, l’impresa svolge anche una funzione sociale, creando opportunità d’incontro, di collaborazione, di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte. Nell’impresa, pertanto, la dimensione economica è condizione per il raggiungimento di obiettivi non solo economici, ma anche sociali e morali, da perseguire congiuntamente”.

Appaiono evidenti i punti di contatto tra i suesposti precetti contenuti nella dottrina sociale della Chiesa e la tematica dell’interesse primario aziendale. Ne discende, quale naturale corollario, la possibilità di associare tale interesse primario al perseguimento del bene comune, inteso come condizione di contestuale soddisfazione dei bisogni dell’azienda stessa e di tutte le differenti categorie di portatori di interesse comunque coinvolti, attraverso la creazione di valore sostenibile, nei termini da ciascuno (ragionevolmente) attesi. Detta sostenibilità è perseguibile attraverso la produzione di beni e servizi utili secondo criteri di economicità e nel rispetto delle condizioni di equilibrio economico complessivo.

Partendo, dunque, dal principio del bene comune contemplato nella dottrina sociale della Chiesa e dalle discendenti implicazioni sulle finalità aziendali e collegando in maniera sistemica detti concetti con l’interesse primario aziendale si perviene alla definizione di un modello integrato, identificabile nella “teoria del bene comune”, che si caratterizza per riconoscere (e, in qualche misura, recuperare) un ruolo di centralità all’azienda, concependo i relativi interessi specifici (ivi compreso quello della remunerazione dell’impresa) quale essenziale componente del bene comune.

Avvalendosi dei principi sottesi alla richiamata “teoria del bene comune” è quindi possibile sviluppare un concetto di “economia del bene comune” nel quale le motivazioni e gli obiettivi aziendali sono sovvertiti rispetto ai canoni tradizionali: dall’orientamento esclusivo al profitto alla ricerca del bene comune e della cooperazione quali presupposti fondamentali per il perseguimento delle condizioni di sopravvivenza e sviluppo dell’azienda stessa.

Vengono così a integrarsi precetti morali e principi economici, in un rapporto di reciproca causalità nel quale etica e business devono risultare in un equilibrio sostenibile, significando che il business non può prevalere sull’etica e viceversa.

In tal senso, l’“etica del business” è identificabile proprio in questo equilibrio tra le due componenti che si realizza quando il finalismo aziendale conduce a una condizione di sostenibilità in cui coesistono obiettivi economici ed extra-economici finalizzati al perseguimento delle condizioni di sopravvivenza e sviluppo aziendale. Ed è in tale contesto concettuale e operativo che il paradigma dell’etica applicata al business, oltre a costituire un pilastro dell’anticorruzione, assume un ruolo sociale ed economico sempre più determinante, sino a divenire condicio sine qua non, per una crescita durevole e sostenibile.

Tali argomentazioni, ritengo siano ben rappresentate in un recente scritto di Oscar di Montigny[1], ove l’autore descrive i principi fondanti dell’”Economia 0.0”, di cui è ideatore e divulgatore, individuabili, appunto, nel perseguimento di “un’economia sostenibile che esprima la capacità di esistere insieme, nella relazione col tutto e non soltanto come parte a se stante. Un’economia basata sul capitale creativo culturale, fondata su trasparenza, gratitudine e responsabilità”.

La rivoluzione concettuale che ne consegue, tanto naturale quanto straordinaria nelle discendenti implicazioni, è così sintetizzabile: fare del bene, farlo bene, conviene.

[1] Oscar di Montigny – Il tempo dei nuovi eroi – Ed. 2016

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