Corruzione: tra l’informare e l’influenzare
A cura della Dott.ssa Antonella Mascio
Traendo ispirazione dal seminario dal titolo: “Conoscere la corruzione per combatterla: una prospettiva interdisciplinare all’analisi dei fenomeni corruttivi”, tenutosi presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali in Roma lo scorso 9 marzo nonché da una docenza del giornalista Andrea Camaiora al Master Anticorruzione, il presente articolo si pone come spunto di riflessione su una tematica, a mio avviso, spesso sottovalutata: quanto gli attuali mezzi di informazione utilizzino il binomio “informare-influenzare” come mezzo per veicolare le informazioni diffuse, pur essendo coscienti dell’impatto di queste ultime sull’opinione pubblica.
I cosiddetti mass-media, ovvero mezzi di comunicazione di massa, sono endemicamente rivolti ad un pubblico quanto mai vasto e differenziato, da qui la necessità di veicolare le informazioni rendendole accessibili ai più. Spesso tale rapporto è caratterizzato da asimmetria informativa, ciò implica che chi ascolta non è a conoscenza dei fatti accaduti nel dettaglio, o non è a conoscenza affatto, riponendo totale fiducia in ciò che viene detto o scritto come se si trattasse di verità indiscutibili. Attualmente, una larga fetta della comunicazione è affidata a mezzi tradizionali quali la televisione e i periodici nonché a mezzi maggiormente tecnologici quali Internet, social-media e blog, tutti caratterizzati da facile accessibilità essendo mezzi attraverso cui informarsi velocemente e gratuitamente nonostante la scarsità di fonti attendibili.
Durante il succitato seminario, a tal proposito sono intervenuti il Dott. Paolo Mancini ed il Dott. Marco Mazzoni dell’Università di Perugia, sottolineando come le informazioni vengano manipolate soprattutto se attinenti a temi scottanti quali il verificarsi di fenomeni illeciti o eventi di natura corruttiva che maggiormente destano l’attenzione e lo sdegno dell’opinione pubblica. I dati da loro illustrati provengono dal progetto finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Settimo Programma Quadro: “Anticorruption Policies Revisited. Global Trends and European Responses to the Challenge of Corruption”. Il progetto ha preso in esame la copertura giornalistica della corruzione in sette paesi: Francia, Italia, Lettonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Ungheria.
In particolare, l’Italia nel periodo compreso tra 2004 il 2013 è il paese che, tra quelli analizzati, presenta il maggior numero di articoli (46.239) dedicati alla parola corruzione e ad altri termini ad essa collegati con riferimento ai quattro giornali indagati (la Repubblica, Il Giornale, Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore). L’immagine sottostante (Fig.1) mostra come tali giornali presentino un alto numero di articoli sul tema della corruzione tra il 2009 e il 2011, periodo in cui si concentrano molti scandali di natura corruttiva tra cui il Ruby-gate, la “cricca degli appalti” per il G8 e il caso Pennisi in Lombardia.
Ciò che appare ancora più interessante rilevare è che, prendendo in esame le testate precedenti, viene dimostrato come tali giornali sembrano aver dato diversa rilevanza ed un taglio differente alla medesima notizia in base alla relativa vicinanza politica ai soggetti coinvolti.
Ad esempio, la Repubblica è il giornale con il più alto numero di articoli nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2011, ovvero, in corrispondenza dei mesi del Governo Berlusconi, mentre la sua attenzione decresce nei mesi successivi all’ultimo Governo Berlusconi quando aumenta invece l’attenzione de Il Corriere della Sera soprattutto in concomitanza con la discussione e l’approvazione della legge Severino, come si evidenzia tramite la figura sottostante (Fig. 2).
Se da un lato, quindi, i giornalisti con funzione di watchdogs (“cani da guardia”) ed una copiosa pubblicazione di articoli attinenti il tema della corruzione, maladministration ed in generale illeciti supportino una relazione positiva tra libertà di stampa e bassi livelli di corruzione contribuendo a creare una coscienza nazionale del fenomeno, dall’altro c’è da chiedersi quanto siano accurate le stime basate sugli indici di percezione o quanto i processi mediatici si riverberino poi anche sul trattamento del caso in ambito giuridico. Come affermato da Camaiora in “Perché serve la litigation communication” – una vicenda che sia costantemente sotto i riflettori di comitati, social network, media, opinione pubblica è inevitabilmente più visibile anche agli inquirenti -. In aggiunta, i processi mediatici sono frequentemente i fattori scatenanti dell’approvazione o disapprovazione dell’opinione pubblica nei confronti della sentenza finale, basti pensare a casi come Tagentopoli o il già citato Ruby-gate.
Conseguentemente, sarebbe opportuno, a mio avviso, sostituire la diffusione di notizie parzialmente alterata e/o finalizzata a scopi diversi rispetto al semplice informare con una comunicazione leale, dotata di fonti comprovate, che non lasci spazio ad ulteriori macchinazioni ed eviti future contestazioni con il rischio di spendere tempo e denaro nel chiarire precedenti situazioni di opacità.
Sitografia:
- http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Comunicazione/News/_news?id=b2d1d7450a77804214f97c10ff369769;
- http://www.anticorruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Comunicazione/News/20170309/Anac.Mibact.09.03.17.Mancini.Mazzoni.sintesi.pdf;
- https://comunico.wikispaces.com/Mass+Media,+tra+informazione+e+manipolazione;
- http://formiche.net/2017/02/13/perche-serve-la-litigation-communication/.
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