MAFIA E CORRUZIONE, LA CONFISCA DEI BENI ILLECITI
Il procuratore della repubblica del tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, è intervenuto il 24 settembre 2015 al convegno “Le ragioni dell’impresa e le ragioni dell’amministrazione della giustizia. I teatri della crisi”. Ad aprire l’intervento – integralmente consultabile sulla rivista on line www.penalecontemporaneo.it –, un’analisi del ruolo svolto dalla confisca dei beni di origine criminosa nel nostro paese.
Nel corso degli anni, il sequestro di patrimoni illecitamente acquisiti, è divenuto una linea strategica fondamentale nel nostro ordinamento. La prima costruzione normativa in sede di processo penale si realizza nel 1982, quando la cosiddetta legge Rognoni – La Torre (L. 646/1982) introduce la confisca del provento del reato o di quanto “sia il frutto di attività illecita o ne costituisca il reimpiego”.
In sede di prevenzione invece, è l’approvazione dei cosiddetti “pacchetti di sicurezza” del 2008 e del 2009 (D.L. 92/2008 poi convertito in L. 125/2008 e L. 94/2009) a introdurre l’importante principio per cui le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste ed applicate in modo disgiunto.
In pratica “la confisca preventiva” ha spiegato Pignatone, “ vuole evitare, da un lato, il pericolo del riutilizzo delle ricchezze illecite per alimentare ulteriori attività illecite, dall’altro il rischio che quelle ricchezze illecite vengano reinvestite in attività lecite alterando le logiche di mercato e le regole della concorrenza“.
La realizzazione normativa – dal 1982 in poi ¬– ha comportato un’espansione costante del campo di applicazione delle misure ablative, tanto che negli ultimi anni si è registrata una crescita continua del valore dei beni confiscati e del numero delle attività imprenditoriali che sono state oggetto di interventi ablatori. Si tratta per lo più di aziende operanti in settori a scarso contenuto tecnologico (edilizia, smaltimento rifiuti, ciclo del cemento), ambiti protetti, nei quali la concorrenza è quasi inesistente e la capacità di interrelazione con i poteri politico-istituzionali è decisiva. Parliamo di imprese che originariamente nascono come frutto di proventi illeciti, anche se svolgono attività formalmente lecite; o ancora, di imprese che inizialmente operavano in maniera legale ma i cui interessi si sono poi intrecciati con quelli della mafie. “In questo senso” ha precisato Pignatone, “si può parlare, con tutta la prudenza imposta da qualsiasi definizione, specie in questa materia, di imprese mafiose o colluse”.
Tuttavia accanto alla confisca, lo strumento base del contrasto ai patrimoni illeciti, sono state introdotte nel nostro ordinamento altre misure non ablative, che tendono piuttosto a risanare le attività imprenditoriali a rischio di contaminazione, attraverso la creazione di una difesa preventiva di fronte ai tentativi di infiltrazione mafiosa. Questa pluralità di strumenti si è resa necessaria di fronte a una realtà sempre più complessa ed eterogenea, non più riducibile alla dicotomia impresa sana/impresa mafiosa. “Constatiamo, sempre più spesso, esempi di imprese che non sono mafiose ma che hanno rapporti con la mafia” ha spiegato Pignatone sul punto, “così come esempi di imprese che non vivono solo di corruzione ma che accettano anche un quantum di corruzione”.
Sono proprio questi i casi in cui è più conveniente ricorrere a misure mirate e selettive, evitando provvedimenti ablativi, come confisca e sequestro, che potrebbero risultare distruttivi per l’impresa. Di fronte ad aziende di grandi dimensioni, per le quali i contatti con la criminalità organizzata interessano soltanto alcuni settori, è preferibile intraprendere un percorso terapeutico, piuttosto che affidarsi a misure ablative che provocherebbe un’irreparabile distruzione di ricchezza e posti di lavoro.
Rossana Feliciani
i beni illeciti e le somme confiscate essendo patrimonio sottratto alla collettivita’ , devono essere riutilizzati per finalita’ pubbliche e sociali, per esempio con assegnazione dei beni a categorie deboli e bisognose, per creare realta’ territoriali che assicurano occupazione a giovani e disoccupati, per la creazione di aziende e cooperative sociali senza scopo di lucro.
La confisca dei beni deve essere punizione per chi illecitamente si appropria di esse e ristoro per la collettivita’ che se ne riappropria.
Lo Stato democratico punisce ma nel contempo si adopera concretamente per la promozione della persona (art. 3 della Costituzione).