COMMISSARIAMENTI E INTERDITTIVE: LE NUOVE SFIDE NEL CONTRASTO A MAFIE E CORRUZIONE
Esistono altri elementi strategici nel contrasto a mafie e corruzione; il sequestro dei patrimoni illecitamente acquisiti non è l’unico rimedio esperibile. A dirlo è stato Giuseppe Pignatone, in audizione al convegno “Le ragioni dell’impresa e le ragioni dell’amministrazione della giustizia. I teatri della crisi” il 24 settembre 2015. L’intervento è integralmente consultabile sulla rivista on line www.penalecontemporaneo.it.
Il procuratore della Repubblica è partito da un’analisi del ruolo svolto dalla confisca dei beni di origine criminosa e ha ricordato che, nella lotta alla criminalità organizzata, “l’aggressione ai patrimoni illecitamente acquisiti è ormai una linea strategica fondamentale del nostro ordinamento”. Specie negli ultimi anni, confisca e sequestro si sono dimostrati misure di grande efficacia, facendo registrare una crescita costante del valore dei beni confiscati, tra cui il numero delle attività imprenditoriali rivelatesi mafiose o colluse.
Tuttavia, accanto a questa che è l’ipotesi base del contrasto ai patrimoni illeciti delle organizzazioni mafiose, Pignatone ha voluto ricordare altre misure di carattere non ablativo, recentemente inserite nel nostro ordinamento. La necessità di una simile moltiplicazione di strumenti a disposizione trova la sua giustificazione “nella continua tensione che il diritto penale, inevitabilmente rigido, subisce quando entra in contatto con il mondo dell’economia”. In altre parole, di fronte ad aziende soltanto parzialmente colluse, per cui i contatti con le mafie riguardano soltanto alcuni settori, è preferibile adottare misure terapeutiche o di prevenzione, piuttosto che affidarsi a strumenti ablativi-acquisitivi che provocherebbe un danno economico distruttivo per l’attività imprenditoriale.
Il primo di questi strumenti è l’amministrazione giudiziaria, prevista dall’art. 34 del Codice Antimafia e applicata quando si riscontrano elementi sufficienti per ritenere che “il libero esercizio di attività economiche, comprese quelle imprenditoriali, agevoli l’attività delle persone nei cui confronti sia stata proposta o applicata una misura di prevenzione”, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per delitti quali associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione (art. 630 c.p.), usura (art. 644 c.p.), riciclaggio e autoriciclaggio (art. 648 bis e 648 ter c.p). La misura prevista dall’art. 34 non è dunque finalizzata a preparare una futura confisca – che rimane comunque una possibile soluzione –, ma mira piuttosto ad un intervento diretto sull’amministrazione dell’azienda, interrompendo ogni utilizzo illecito di beni destinati a favorire associazioni di stampo mafioso.
In ottica puramente preventiva-interdittiva è invece la documentazione antimafia a svolgere un ruolo di primaria importanza. Nell’eventualità in cui si attesti la sussistenza di “tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate” (art. 84 Codice Antimafia), l’informativa interdittiva prevede l’impedimento per i titolari dell’impresa “di avere rapporti giuridici per un valore complessivo superiore ai 150.000 euro con le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici, le aziende vigilate o comunque controllate dallo Stato o da altri enti pubblici” (art. 83 del Codice).
Confrontando le due norme, Pignatone ha inoltre voluto sottolineare un aspetto importante: sebbene la situazione che giustifica un’applicazione dell’art. 84 – in quanto tutela anticipata – sia meno grave rispetto a quella che legittima l’applicazione dell’art. 34, tuttavia, gli effetti dell’interdittiva, che paralizzano il soggetto economico, si rivelano de facto molto più gravi e devastanti rispetto a quelli dell’amministrazione giudiziaria che, invece, consente la persecuzione dell’attività dell’impresa. “Diventa quindi di fondamentale importanza” ha commentato Pignatone “valutare con estrema attenzione la situazione di fatto per poter decidere se essa rientri nella previsione dell’art. 34 del Codice antimafia, o in quella dell’art. 84”.
“Questa pluralità di strumenti presenta, a volte, zone di confine e incerta definizione e zone di sovrapposizione vera e propria, con esiti a volte paradossali” ha concluso il procuratore Pignatone, auspicando un miglior coordinamento delle misure esistenti “tuttavia non compiutamente realizzabile in questo momento di continui cambiamenti normativi”.
Rossana Feliciani
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