Scandalo Volkswagen: “mele marce” o corporate culture?
Berlino. 23 Settembre 2015. L’aria è tesa per via dello scandalo appena dilagato della Volksvagen. Come tutti i mercoledì, vado alla lezione di Human Resources nell’università che sto frequentando qui a Berlino. È una delle prime lezioni per cui devo ancora cogliere il senso della materia. E sono molto sorpresa quando, all’inizio della lezione, il Professore proietta il video di scuse dell’amministratore delegato della Volkswagen, Martin Winterkorn.
Nel mentre, prendo qualche appunto random sul mio quaderno:
“Trasparenza – dobbiamo spiegazioni ai consumatori, al pubblico, agli impiegati ed agli stakeholders – fiducia nel marchio, nelle macchine, nella tecnologia – riconquistare la fiducia passo dopo passo – il team non se lo merita – apertura e trasparenza”;
e ancora: “l’onestà e il lavoro duro di molti sono messi in discussione da una terribile condotta di pochi”.
Benissimo. “Pare che HR mi darà spunti interessanti su cui riflettere in tema di trasparenza ed integrità” penso.
Come è possibile che avvengano certe cose?
È socialmente accettabile? Sicuramente no.
E all’interno dell’impresa? Dipende.
Da cosa? Questo è il punto.
È davvero possibile che uno scandalo del genere dipenda da “poche mele marce”? Se anche cosi fosse, è possibile che nessuno abbia esternato la cosa all’autorità o abbia impedito l’azione di questi pochi da subito?
No. Non credo la colpa possa essere attribuita ad un numero ristretto di persone. Per essere chiari, può anche essere che siano state le “mele marce” a manomettere i test. Ma il verme non sta tanto nelle persone quanto nella cultura dell’organizzazione, nella corporate culture.
La cultura di un’organizzazione influenza il come e il perché i lavoratori fanno ciò che fanno. Gli individui tipicamente si adattano e conformano le proprie azioni rispetto ai valori messi in evidenza dalla cultura. Trovano legittimazione e giustificazione in essa. La usano come scudo e protezione. Un po’ per paura, un po’ per inclinazione. E l’integrità dove va a finire?
Respirare aria malsana fa comportare in modo sporco. Respirare aria salubre fa comportare in modo etico.
E la cultura è a sua volta influenzata dalla cultura nazionale, dalla cultura dell’industria e del settore, dalla cultura dei top managers.
Diciamo anche che non mi sarebbe piaciuto essere a capo dell’HR della Volkswagen in quei giorni.
Al momento della selezione e del reclutamento, è possibile riconoscere una persona etica da una che invece non lo è? Come si può avere la certezza di trovarsi di fronte ad una persona che può effettivamente rispecchiare gli interessi dell’azienda, nei comportamenti, nei pensieri, nelle responsabilità, facendosi portatore dei valori di impresa? Si può trasmettere efficacemente l’insegnamento per cui il concetto di Triple Bottom Line ( non solo Profitti ma anche Persone e Pianeta) non è solo un qualcosa di astratto ma va davvero tenuto in considerazione?
Interviste più specifiche e dettagliate; analisi psicologiche; proposizione di casi aziendali per valutare e misurare il grado di reazione a casi di corruzione, in assenza di trasparenza; la creazione di un codice di condotta alla base di tutto; l’introduzione di un sistema di ricompense e punizioni; un’hotline anonima per potenziali whistlebowers; l’introduzione di un sistema di formazione ed educazione per i nuovi entrati ma anche per coloro che già fanno parte dell’impresa, in modo da essere certi che non si scordino mai quali sono i valori trainanti della stessa: tutti devono avere chiara la visione della cultura che è stata costruita nel tempo e gli standard di eticità che dovrebbero modellare i loro comportamenti per l’organizzazione.
Queste tra le mie risposte.
No, le Risorse Umane non hanno un ruolo da poco in questi casi. Ed era una cosa a cui non avevo mai veramente pensato. Può l’HR essere un primo effettivo filtro, una protezione per le “mele marce”?
È una sfida che mi piacerebbe molto intraprendere: cultura, etica, business.
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