“Riforme della PA”: corruzione propria e impropria
Il webinar del 13 Ottobre 2014 è parte del progetto “Riforme della PA” promosso e organizzato da Formez e avrà come tema “la formazione come misura di prevenzione della corruzione”. Durante l’evento Massimo Di Renzo (docente, consulente ed esperto in ambito giuridico) interverrà approfondendo il concetto di corruzione propria ed impropria e il concetto di “dono”.
In questo articolo tratteremo, attraverso le parole e il materiale del già citato Massimo Di Renzo, il concetto di “scambio” e del cd “principio di reciprocità” che ci permette di capire la differenza fra corruzione propria ed impropria.
La PA è regolata, fra le altre cose, dai Codici di Comportamento o Codici Etici (se sei interessato a leggere di più riguardo ai codici etici, visita la nostra sezione “codici etici“) che vengono considerati dalle istituzioni e dagli esperti uno dei mezzi utilizzabili per combattere la corruzione. Essi regolano quindi l’agire e limiti dell’agire di un funzionario, se ci si vuole concentrare su quando e come un funzionario può accettare un “dono” (nodo centrale quando si parla di corruzione) ci si deve chiedere quali sono quindi gli “scambi” ammessi dalla legge e dai codici e quali no? Quando si ha corruzione e quale?
Per rispondere a queste domande bisogna innanzitutto definire e capire cosa sia la corruzione per il nostro ordinamento; secondo il nostro codice penale (artt. 318-322) essa può essere definita come un particolare accordo tra un funzionario pubblico ed un soggetto privato, mediante il quale il primo accetta dal secondo, per un atto relativo alle proprie attribuzioni, un compenso che non gli è dovuto.
Per essere più precisi al nuovo articolo 319 troviamo il concetto di corruzione propria: “Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da quattro a otto anni”. Come sostiene l’Avv. Gabriele Martelli in una sua brillante considerazione: “per la corruzione propria occorre la dimostrazione e la prova del sinallagma dazione o promessa di utilità – compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio nonostante la giurisprudenza abbia sino ad oggi ritenuto di dover prescindere dalla individuazione di tale atto.” Diverso è invece il concetto di corruzione impropria, regolato dal nuovo articolo 318, secondo il quale: “il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. La differenza fra i due concetti quindi sta nel fatto che:
– Se si ha corruzione propria, il DENARO/ALTRA UTILITA’ in cambio di una RICEZIONE/PROMESSA si manifesta in un ATTO CONTRARIO ai doveri d’ufficio del dipendente
– Se su ha corruzione impropria invece, il DENARO/ALTRA UTILITA’ in cambio di una RICEZIONE/PROMESSA si manifesta in una modifica dell’ESERCIZIO DELLE PROPRIE FUNZIONI atto ad avvantaggiare un terzo.
Nodo cruciale in questa discussione è quindi quando uno scambio di un “dono” va considerato corruzione o meno. Per risolvere questa questione si può utilizzare finalmente il Codice di Comportamento che all’art.4 comma 2 recita:” Il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità̀, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia. In ogni caso, indipendentemente che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità̀, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività̀ inerenti all’ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto”. Qui non esiste collegamento tra regali/utilità richiesta (munus) e atto da adottare o adottato (remuneratio), l’ordinamento mira ad escludere tale schema per non attivare dinamiche di reciprocità che curverebbero la linearità (attuale e futura) del processo decisionale pubblico.
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