L’incorruttibile che terrorizzò la Francia
“I giudizi umani non sono mai abbastanza certi, perché la società possa condannare a morte un uomo”. Ergo, la pena di morte è sostanzialmente ingiusta. Parola di Maximilian De Robespierre, protagonista della rivoluzione francese che così parlò nella primavera del 1791. Neanche tre anni dopo però affermerà che la forza di un governo rivoluzionario “è a un tempo la virtù e il terrore”.
In tale contesto, dato il fatto che il termine Terrore era da intendersi principalmente, come “condanna a morte di ogni avversario politico”, è evidente come il pensiero di Robespierre fosse radicalmente cambiato, e proprio in tale mutazione di rotta sta il senso del periodo più sanguinoso della rivoluzione, passato alle cronache come “il Terrore”, condensato in una caricatura dell’epoca in cui Robespierre ghigliottina il boia, ultimo uomo rimasto in vista, dopo che lo stesso rivoluzionario ha fatto giustiziare mezza Francia.
Dopo i recenti fatti di cronaca, che hanno avuto come protagonista l’ex ministro cinese per le ferrovie, Liu Zhijun, condannato a morte per corruzione e abuso d’ufficio, il tema della pena di morte è tornato a far discutere. Emergerebbe dall’oriente un dato allarmante: più del 70% dei cittadini cinesi è convinto che la pena di morte per i reati di corruzione sia adeguata e non vada abolita.
In virtù dell’inasprimento delle pene previsto dal disegno di legge anticorruzione italiano, è evidente come la giustizia italiana interpreti la pena per corruzione come una possibilità di riscatto per il condannato che va riabilitato, rieducato in funzione sociale, con il fine ultimo di reinserirlo nella società con una coscienza rinnovata.
In Cina invece si è mandati al patibolo per reati ordinari o per opposizione al potere, ma siamo sicuri che la pena capitale nel 2015 sia uno strumento davvero efficace che rispetti la dignità delle persone? analizziamo allora un periodo storico in cui la pena di morte era inflazionata: la rivoluzione francese.
Identificata dal motto liberté, egalité, fraternité, ed entrata nel mito con la presa della Bastiglia (14 Luglio 1789), la Rivoluzione Francese aveva portato, nel Settembre 1792, alla fine della Monarchia e alla definitiva proclamazione della Repubblica.
È noto come la Francia pre-rivoluzionaria fosse un Paese proveniente dall’assolutismo di Re Luigi XIV, il Re Sole, a cui si attribuisce la famosa frase “lo Stato sono io”: uno Stato ricco e unito, imperialista e coloniale, al cui interno stridevano, in realtà, le condizioni di vita della popolazione, messe in crisi dalla disuguaglianza sociale, dagli abusi delle classi più elevate e dalla corruzione dei governanti.
Se la società era divisa in tre ceti: nobiltà, clero e terzo stato, il potere monarchico era però talmente pervasivo da essere in grado di reprimere il minimo sintomo di dissenso. La vita dei ceti più poveri era infatti condizionata da continue e profonde crisi economiche, e il carico fiscale gravava interamente sulle loro spalle, dal momento che aristocrazia e clero ne erano esenti.
Dopo il 1792, l’agenda politica venne dettata dalla Convenzione Nazionale, assemblea incaricata di estendere una nuova costituzione, ma divisa al suo interno in tre fazioni: a destra i girondini, rappresentanti dell’alta borghesia liberale; al centro un gruppo eterogeneo detto “palude”; a sinistra i montagnardi, deputati democratici il cui obiettivo era l’uguaglianza sociale e l’ascesa del popolo.
In un tale contesto di estremo cambiamento sociale, economico e non ultimo, culturale, azioni di personaggi rilevanti e discussi, capaci di imprimere un cambiamento epocale e segnare definitivamente la storia, come Jacques Danton, Jean Paul Marat e, su tutti Robespierre, agirono per la creazione di un nuovo governo, fondato su nuove leggi e soprattutto attento e quasi ossessionato dal virtuosismo che detenesse un primato tra le fila dei suoi uomini.
Il gruppo dei montagnardi timorosi che il deposto Re Luigi XVI stesse ordendo una congiura antirivoluzionaria, iniziarono a chiederne la testa. Peraltro già sul finire dell’estate 1792 la psicosi da complotto aveva indotto il popolo parigino ad assassinare in via preventiva centinaia di detenuti politici e numerosi uomini di chiesa nei cosiddetti “massacri di Settembre”.
Dopo l’uccisione del Re la Convenzione diede vita al Comitato di Salute Pubblica, organo con poteri eccezionali, a cui spettava il compito di proteggere la Repubblica da tutti i nemici, sia interni che esterni, e volto dunque ad un’azione di vigilanza all’interno stesso del nuovo governo in via di formazione in funzione anticorruttiva.
Robespierre, Entrato nelle file del comitato di salute pubblica, si rese presto conto della delicata situazione sociale del nuovo paese: l’obbligo di leva – introdotto per resistere ai nemici esterni, circa la guerra con l’Austria e la Prussia – e la poca partecipazione del Terzo Stato alle decisioni di carattere pubblico, lo portarono a mutare idea circa la pena di morte. Tale strumento infatti risultava ora utile ad eliminare chiunque potesse tramare contro la rivoluzione.
Entrato nelle file del Comitato di Salute Pubblica, il giacobino non tardò ad affermare che “il terrore non è altro che la giustizia”, e tale idea fu sostenuta anche in ambito civile dai Sanculotti, rivoluzionari proletari, chiamati così perché non indossavano pantaloni fino al ginocchio in voga tra nobiltà e alta borghesia.
Il Terrore si affermò dunque come una misura di emergenza temporanea, finalizzata a garantire la “salute pubblica” del Paese, mettendo in naftalina i principi della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, già emanata nel 1789. Allo slogan “libertà, uguaglianza e fratellanza” furono non a caso aggiunte tre parole: “o la morte”.
Simbolo del terrore divenne in poco tempo la ghigliottina, macchina di morte “rapida e sicura” adottata dal 1792 come strumento per tutte le esecuzioni capitali, perché anche davanti la morte tutti i cittadini dovevano essere uguali.
Fin dalla decapitazione di Luigi XVI, fu predisposto un particolare rituale per lo svolgimento dell’esecuzione, con le vittime trasportate al patibolo sopra un carro che passava in mezzo a una folla di spettatori eccitati che insultavano e lanciavano ortaggi al condannato.
In base alle legge dei sospetti del 1793, la legge della ghigliottina si scagliò su tutti coloro che per la loro condotta, per le loro relazioni, propositi o scritti si fossero mostrati nemici della libertà e che in qualche modo risultassero corruttibili ai principi di cui si faceva – idealmente – portatrice la Francia post rivoluzionaria.
Il comitato poteva perseguitare così praticamente chiunque fosse anche solo sospettato di avere in antipatia la Repubblica e i primi a farne le spese furono i nobili, il clero, i capi rivolta della Vandea e parecchi girondini.
La repressione prese di mira anche la religione, tanto che nel Novembre 1793, presso la Cattedrale di Notre-Dame, fu allestita una festa della libertà, nella quale si celebrò la dea Ragione mentre in parallelo venivano chiuse le chiese di Parigi. Fu inoltre introdotto un nuovo calendario e l’anno seguente furono abolite le feste cattoliche. Robespierre promosse infine il cosiddetto “culto dell’essere Supremo”, sorta di religione laica che concepiva una divinità “non interagente” con le umane vicende.
Se l’idea era quella di favorire la pacificazione del Paese in vista di una prossima fine del periodo del Terrore, la ghigliottina continuava però, per il momento, a lavorare senza sosta.
I giacobini sapevano che senza tale radicalismo la Rivoluzione non sarebbe sopravvissuta alle forze ostili: essa fu di fatti “inscindibile” dal terrore. Anche per questo si registrò un inasprimento della violenza, grazie a una legge del Giugno 1794, che privò di difesa giuridica gli imputati nei processi per tradimento.
Proprio la Convenzione si rivelò però la peggiore nemica di Robespierre: lo accusò di volersi imporre come nuovo tiranno della Francia, facendolo così arrestare insieme a i suoi fedelissimi.
La congiura si trasformò in un colpo di Stato che culminò il 28 Luglio con la salita al patibolo. Di colpo, con la morte dell’incorruttibile, tramontò un’epoca segnata sì dalla violenza, ma anche da importanti interventi nell’assistenza pubblica, nel monitoraggio di anticorruzione all’interno dell’area della governabilità e svolte per favorire l’ascesa delle classi più povere.
Finito il terrore, il paese conoscerà la violenta reazione dei monarchici a danno dei rivoluzionari estremisti e, soprattutto, la straordinaria ascesa di un ambizioso generale: Napoleone Bonaparte.
La ghigliottina – e dunque la pena di morte – rimase nell’immaginario comune, lo strumento di punizione e di penitenza per tutti coloro che agivano scorrettamente rispetto al nuovo potere rivoluzionario.
Il primato, per quel che riguarda l’abolizione della pena di morte, spetta all’Italia e in particolare a uno dei vari staterelli che occupavano la penisola italiana: il Granducato di Toscana, primo a eliminare le condanne a morte capitali.
Era il 30 Novembre 1786 quando il granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena sposò la scelta illuminata, influenzato da pensatori come Cesare Beccaria e i fratelli Verri, che fecero del rifiuto della pena di morte, uno dei fondamenti delle proprie opere. L’abolizione totale durò però solo quattro anni, poichè fu poi ripristinata per crimini “eccezionali”, proprio durante la rivoluzione francese.
Nell’Italia unita furono abolite le condanne capitali nel 1889, per essere nuovamente introdotte durante il fascismo. Bisognerà aspettare il 1948 per l’eliminazione definitiva della pena capitale dalle nostre leggi. Oggi secondo Amnesty International, ben 58 paesi continuano a prevedere la pena di morte in caso di reati gravi.
Bibliografia:
Maximilien de Robespierre, Scritti rivoluzionari, Milano, M&B Publishing, 1996
Fonti:
Alberto Moro “La Crisi dell’Antico Regime”
Tags: 14 Luglio 1789, ghigliottina, girondini, montagnardi, rivoluzione francese, Robespierre