Corruzione: Cosa si paga in termini di Debito Pubblico
L’alto livello di corruzione, registrato nel corso degli anni, dalle classifiche Transparency International ci ricordano ogni anno che la situazione è grave e che non tende a migliorare. Ma ottenere una classificazione nelle ultime posizioni nel Corruption Perception Index (In ABC della corruzione: Indice di percezione) cosa significa? E cosa comporta? Ne viene illustrato il costo in termini di debito pubblico e nella sua mancata riduzione. Partiamo dal fatto che il fenomeno corruttivo da un lato, tende a far crescere i livelli di spesa pubblica a causa del maggior costo dei servizi e beni acquistati; dall’altro, diminuisce il tasso di crescita del PIL e di conseguenza riduce il gettito fiscale. Presupponendo una qualche relazione tra corruzione e debito, il grafico qui sotto toglie ogni ragionevole dubbio in quanto mostra come l’andamento dell’indice di corruzione percepita ed il livello di debito pubblico vadano insieme, nel tempo, e che variazioni dell’uno siano associate a variazioni dell’altro, in modo sostanzialmente stabile.
Prendendo come riferimento, per una panoramica storica, il libro di Basevi et al. (2001) “La politica economica degli anni ‘70” viene evidenziato come l’aumento dell’indebitamento primario (differenza tra entrate e uscite al netto del costo del servizio pubblico) possa trovare una spiegazione in entrate insufficienti a far fronte all’aumento di spesa pubblica. Per tutto quel periodo la pressione fiscale in Italia era decisamente inferiore a quella di Germania e Francia di 10 punti percentuali e fino al 1997 fu ai livelli degli USA (Rossi, 2007). In assenza di corruzione si sarebbero potute avere entrate più elevate sia come effetto di un PIL più elevato sia per una minore evasione fiscale.
Ciò avrebbe determinato un minor debito pubblico e, forse, non vi sarebbe stata quell’esplosione negli anni Ottanta, iniziata per una erratica gestione, soprattutto politica, della corruzione e poi determinata dal perverso meccanismo debito-disavanzo-debito ed ulteriormente acuita dalla crescita della spesa per interessi dovuta all’aumento dei tassi d’interesse, che poi portò alla crisi nel 1991-1992. D’altra parte, il fatto che la corruzione si sia mantenuta elevata ha contribuito a livelli elevati di debito pubblico, che hanno portato, alla fine del 2009, al Fiscal Compact e alle rigide politiche di austerità (Questo è un bel costo!).
Se l’assenza di corruzione potrebbe aumentare il Pil dello 0.14 dal 1995 al 2009 questo non avrebbe un grande impatto sul PiL stesso (meno del 2%) ma farebbe la differenza in termini di Debito/PIL che sarebbe potuto essere inferiore del 17% (Cooray, 2013).
Occorre quindi una seria azione di riduzione della corruzione che interagisca con numerosi aspetti, fra cui controlli ex-ante e provvedimenti che innalzino la probabilità di condanna e riducano i benefici che le parti ricevono. Verso questa direzione ci spinge anche la Commissione europea che lo scorso 4 Febbraio ha pubblicato un intero Report sull’ ANTI-corruzione dove si dettagliano possibili rimedi alle pratiche attuate fino ad ora. Su questo piano i recenti Governi hanno fatto poco. La legge anticorruzione del Governo Monti è stata dichiarata inefficace dalla Commissione UE in quanto, fra l’altro, non modifica “la prescrizione, la legge sul falso in bilancio e l’autoriciclaggio e non introduce reati per il voto di scambio”. Anche nell’attuale Governo non sembrerebbe, per adesso, esserci una visione sistematica della lotta alla corruzione.
Riferimenti bibliografici
- G Basevi, P Onofri, and A Tantazzi. La politica economica degli anni’70. C. Dadda (a cura di) Per l’Economia Italiana, Il Mulino Bologna, 2001.
- Arusha Cooray and Friedrich Schneider. How does corruption affect public debt? an empirical analysis. Technical report, Working Paper, Department of Economics, Johannes Kepler University of Linz, 2013.
- Salvatore Rossi. La politica economica italiana 1968-2007, volume 4. Editori Laterza, 2007.
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