No la corruzione non è provinciale
Da www.gustavopiga.it
Sabino Cassese sul Corriere della Sera: “il decentramento porta con sé maggiore corruzione: questo risulta da tutti gli studi compiuti nel mondo sulla corruzione“.
Non sono un fan del decentramento per sè. Ma è vero che la frase sopra è sbagliata. Conosco almeno uno studio che dice il contrario, in realtà anche più di uno.
Visto che parliamo di appalti (gli scandali di Roma da lì nascono) e visto che siamo in tempi di potenziale accentramento degli appalti nelle mani di poche stazioni appaltanti (un errore), varrà la pena citare almeno uno studio.
E’ “How Much Public Money Is Wasted, and Why? Evidence from a Change in Procurement Law” di Oriana Bandiera, Andrea Prat, Tommaso Valletti, American Economic Review, Dicembre 2009. A tutt’oggi la più completa analisi degli acquisti pubblici italiani di beni e servizi. Gli sprechi, di corruzione ed incompetenza (ma i due si sostengono spesso a vicenda) sono calcolati sui prezzi di acquisto e divisi per livelli di governo:
“Gli enti universitari e le ASL pagano i prezzi più bassi. Paragonati ad essi, il comune medio paga il 13% in più. La differenza aumenta ancora con i governi regionali (21%), gli enti di previdenza (22%), mentre il ministero “medio” supera tutto con prezzi maggiori del 40%”.”
Insomma sembrerebbe che sia il centro a mostrarsi più corrotto.
E poi non scherziamo col fuoco: il Prof. Cassese sa bene quanto l’accentramento degli appalti al centro sarebbe dannoso per le PMI di questo Paese. Non c’è bisogno di aggiungere benzina sul fuoco della recessione più grave da sempre, che sta uccidendo le nostre PMI. Meglio, molto meglio sarebbe, resuscitare le 100 e passa province – dove albergano ottime competenze negli appalti e la giusta vicinanza culturale al territorio – e affidare a loro la razionalizzazione organizzativa degli appalti pubblici.
Cassese prosegue con un altro fattore a suo avviso fautore di corruzione: “quello dei sistemi derogatori, con cui si aggirano le regole sugli appalti. In particolare, a Roma, specialmente dal 2008, con la solita motivazione che le procedure sono arcaiche e farraginose («da sbloccare», nel linguaggio di uno degli indagati), si sono creati percorsi paralleli, meno garantiti e meno controllati.”
Le “regole del gioco” sugli appalti, quelle del gioco “buono”, si aggirano in mille modi, ai fini corruttivi, spesso senza bisogno di deroghe. Condizione non necessaria, la presenza delle deroghe, ma nemmeno sufficiente, per la corruzione. Spesso le deroghe hanno infatti altra ragione che non la corruzione: l’incapacità di programmare e, a volte, effettivamente l’arcaicità, ma anche l’erroneità delle procedure previste dalla norma.
Che la “scoperta” improvvisa della corruzione non diventi dunque motivo per invocare un nuovo “round” di regole e vietare il necessario passaggio alla maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti che la Nuova Direttiva europea tra l’altro prevede. A scanso di equivoci ribadiamolo: ci vorranno più investimenti nelle competenze, più controlli anche tramite l’aiuto dei dati (ad oggi gelosamente nascosti), più premi e meno regole per un sistema di appalti meno corrotto, meno colluso e più efficace.
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